Case e Balconi di Veronetta

L’accesso alla casa e l’adeguatezza dell’alloggio alle proprie necessità, costituiscono degli elementi basilari per la ridefinizione del proprio habitat, per la qualità dell’esperienza migratoria e per l’esito del proprio progetto di vita.

Nel migrare i riferimenti rassicuranti lasciano spazio al non conosciuto e alle incertezze, spingendo il migrante a ridisegnare un luogo capace di riflettere la propria identità (Zanini, 1997).

La casa, le finestre, i balconi, rappresentano nella società un modo di esporci, di raccontare il noi verso l’esterno. Dal punto di vista del linguaggio, le parole casa, dimora, alloggio, abitazione fanno parte di una terminologia che, oltre a rappresentare l’oggetto materiale, rispecchiano la funzione e l’importanza che il concetto in questione riveste ognuno di noi. La casa, come alloggio o abitazione, non è solo una costruzione che alberga l’uomo, il suo riparo o rifugio, ma rappresenta anche il luogo dell’abitare. Come tale, seguendo il pensiero di Heidegger, “l’abitare sarebbe quindi in ogni caso il fine che sta alla base del costruire” e “ci appare in tutta la sua ampiezza quando pensiamo che nell’abitare risiede l’essere dell’uomo, inteso come soggiornare dei mortali sulla terra” (Heidegger, 1976: 96–97). In ogni cultura del mondo, questi componenti architettonici diventano anche rappresentazioni sociali. In ogni paese del mondo, ogni popolo costruisce la sua casa in relazione alla classe sociale a cui appartiene, al suo potere d’acquisto, ai materiali che ha a disposizione, alle condizioni climatiche..In Brasile, per via delle favorevoli condizoni climatiche, a volte nelle case porte e finestre non esistono proprio. In questa tipo di architettura amazzonica le popolazioni autoctone del nord del gigante sud Americano costruiscono i tetti grazie a queste resistenti foglie di palma lasciate essiccare al sole. In Capadocia invece, una regione dell’anatolia in Turchia, le peculiarità geologiche dell’area hanno fatto sì che i suoi paesaggi siano spesso descritti come lunari e la loro formazione geologica, quella del tufo calcareo, per via dell’erosione che ha subito per milioni di anni, ha traformato i paeseggi, regalandogli le forme più insolite e ha consentito all’uomo di costruire le sue abitazioni ricavandole dalla roccia. Ogni cultura si esprime attraverso la propria casa, che diventa quindi non solo un luogo dove proteggersi, dove accogliere le relazioni familiari, un luogo in cui abitare, ma anche una forma di comunicare il noi, che vive dento con l’esterno. Le porte e le finestre delle case sono quindi il medium, l’artefatto fisico attraverso cui le culture entrano in contatto; la possibilità di aprire una finestra sul mondo o di chiudere una porta in faccia a qualcuno ne sono gli esempi.. Mi viene in mente la Tunisina. La porta riescie a trasmettere  nella società anche una distinzione sociale, o meglio di genere: vi sono infatti 3 maniglie, una per ogni componente del nucleo famigliare. L’ uomo usa la sua maniglia in alto a sinistra, la donna ed il bambino quelle alla destra. Lei la più alta e il piccolo quella più alla sua portata. . In ogni cultura e paese del mondo per concludere, la casa rappresenta uno dei luoghi più sacri e fondamentali dell’esperienza umana. E per finire, nel nostro mondo occidentale l’accesso alla casa e le caratteristiche della sistemazione abitativa costituiscono dei pilastri fondamentali della qualità della vita e dell’inserimento sociale.  La casa diventa non solo essenziale per la sopravvivenza ma, essendo “uno straordinario contenitore in grado di coagulare affetti e rappresentazioni” diventa nell’esperienza migratoria un luogo di ricostruzione del proprio spazio abbandonato, una ricostruzione simbolica della propria terra lontana. Questo è quello che ho cercato di indagare qui a Veronetta lo scorso giugno, quando passeggiando per il quartiere durante il periodo dei mondiali di calcio, ho intrappolato le facciate delle case di chi a Veronetta ci abita. Questa lavoro fa parte di un piccolo progetto di ricerca che ho iniziato e che intendo concludere quest’anno, prima di ripartire alla ricerca di una casa per me, in cui vivere e ospitare amici.

RTM (Marocco), TUNIS 7 (Tunisia), ALGERIE (Algeria), NILE TV (Egitto) FADAYA AL MISRIA (Egitto), AL JEZIRA (Qatar), RETE GLOBO (Brasile), PRO TV (Romania), CHINA SAT (Cina), AAJ TAK (India), NDTV INDIA (india), PTV NEWS (Pakistan)..

Veronetta è quartiere densamente abitato da single, giovani italiani e stranieri, famiglie e anziani italiani.

La tv satellitare offre la possibilità di vedere circa 1000 canali di musica, sport, films, attualità, informazioni, documentari, viaggi, cartoni animati e di ascoltare le stazioni radiofoniche. È un vero e proprio strumento d’informazione attraverso cui si mantiene un rapporto con il proprio paese d’origine.

A Veronetta, vengono corrisposti mensilmente “canoni” misurati a un “tot” per ciascun posto letto. Questa “tipologia” contrattuale porta ad un frazionamento sempre più spinto del patrimonio preesistente destinato alla locazione, che già in pessimo stato di conservazione porta alla creazione di appartamenti sovraffolati e di dimensioni sempre più ridotte per consentire un incremento del numero dei posti letto, ed una gestione più produttiva della locazione che non sarebbe possibile negli appartamenti di taglio normale.

Secondo l'Istat, sotto il profilo demografico l'Italia si conferma uno dei paesi con il più basso tasso di natalità al mondo; nel 2010 il numero medio di nascite per donna era stimato a 1,40. Come risulta dai dati FAO, negli ultimi anni la crescita della popolazione è stata più pronunciata, ma si tratta quasi esclusivamente della crescita dell'immigrazione; in quanto il saldo naturale è stato o negativo o di poco superiore a 0. Quindi quello che decresce è il tasso di natalità della popolazione autoctona (che nel prossimo secolo sarà in forte declino), trend che peraltro potrà coinvolgere anche gli immigrati di seconda generazione. L'’indice di natalità delle coppie di immigrati è comunque sicuramente più elevato rispetto a quello delle famiglie autoctone. Nel 2004 a Verona si sono registrate 584 nascite da parte di donne straniere rispetto alle 2.377 complessive. In altri termini ogni 4 nati 1 è straniero.

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MAI A CORTO DI IDEE!! è arrivato il programma completo!

Quest’anno per celebrare il solstizio d’estate abbiamo preparato un programma culturale ricco di cortometraggi, documentari, musiche e sapori dal mondo. Il tutto si svolgerà all’Università di Verona che per l’intera giornata del 21 giugno 2011 accoglierà registi veri e improvvisati, musicisti dal mondo e pietanze prelibate preparate dalle nostre cuoche veronesi e non.

Nell’aula 1.1 del Polo Zanotto alle ore 14.30 il regista Antonio Martino presenterà il suo  film Nigurì. Il documentario racconta la difficile, a tratti sofferta, convivenza (sarebbe giusto definirla condivisione dello spazio) fra gli abitanti del piccolo paese di S. Anna nel lontano sud della Calabria, tra l’altro la sua terra natale, e gli “ospiti” del vicino CPT. Antonio Martino riesce a trasmettere attraverso la sua arte, il documentario, le difficoltà, le paure, il baratro, la burocrazia. I suoi documentari, sempre vicini a tematiche sociali e dalle funzioni pedagogiche vengono realizzati sempre con pochi mezzi a disposizione. Lo stesso Martino nel 2007 era partito con uno zaino in spalla per l’africa per incontrare i profughi nel deserto (Fatma Aba-ad. Come ho imparato ad amare i Saharawi), oppure nel 2007 quando va in Serbia a vedere come si vive a Pancevo: la città più inquinata d’Europa (Pancevo_mrtav grad); oppure come quando in Uzbekistan riesce ad indagare su com’è fare il pescatore sul lago Aral … quando il lago non c’è più (Be Water, My Friend)! Con i suoi film, pluripremiati, sia all’estero che in Italia, riesce a raccontare la realtà, come quella volta quando nel 2007 con i bambini delle fogne di Bucarest realizza Gara de Nord_Copii Pe Strada.

Qui per voi il Trailer di Nigurì.

Antonio Martino all’Università di Verona il 21 giugno 2011, alle ore 14.30 in Aula 1.1 ci aiuterà a capire quali sono le fasi da seguire per realizzare un documentario sociale. Con quali mezzi e con quali tecniche il regista riesce a raccontare la realtà ai suoi spettatori? Quali rischi e cosa comporta la realizzazione di un documentario a forte impatto sociale?

La giornata prosegue e alle 16.30 con Ernesto Bellelli, protagonista di Merica, documentario girato in Veneto, più precisamente a Verona ed in Brasile, nella regione di Espirito Santo. Merica è un documentario che indaga sulle questioni dell’identità etnica, dell’appartenenza, della cittadinanza e dell’immigrazione. Riesce in altri termini ad affrontare il tema dell’emigrazione italiana del secolo scorso e analizzarne le cause che si ripercuotono sulla società italiana oggi. Ernesto, italo-brasiliano che vive a Verona ed interprete del documentario di Federico Ferrone, Michele Manzolini e Francesco Ragazzi, ci racconterà la sua storia e ci presenterà il film.

I ritmi e le musiche dal sud, il mix musicale di culture e linguaggi che spazia dalla tradizione mediterranea alla musica latinoamericana, dalle suggestioni sonore dell’Oriente alla poliritmia africana incontrerà Verona per la prima volta. L’Ensemble do Sud suonerà un mix di culture e linguaggi che spazia dalla tradizione mediterranea alla musica latinoamericana, dalle suggestioni sonore dell’Oriente alla poliritmia africana. Il gruppo multietnico formato da musicisti originari da diversi paesi del mondo come Turchia, Cina, Congo, Venezuela, Perù, Cile e Colombia riempirà con i loro suoni e le loro lingue il giardino del polo zanotto che ospiterà un aperitivo di sapori dal mondo in attesa del buio della notte per allestire lo spazio del cinema all’aperto ed assistere alla proiezione dei cortometraggi che partecipano alla rassegna Mai a corto di idee – festival del cortometraggio. Sono già arrivati documentari da tutta Italia. Vi invitiamo a continuare a mandarci i vostri video, sarà la giuria popolare a stabile i vincitori di questa prima edizione.

 

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Mai a corto di idee…ecco il programma!

Il progetto Come Treni Paralleli, al fine di promuovere la cultura cinematogratica ed incentivare la creatività in tanti giovani che si avvicinano all’arte del cinema e dare spazio a tutti quei lavori di ‘varia misura’ che vengono realizzati da giovani autori, ha bandito per il 21 giugno 2011 all’Università di Verona, la prima edizione di “Mai a corto di idee” concorso per cortometraggi a tema libero.

La giornata del 21 giugno 2011 si svolgerà all’Università di Verona, al Polo Zanotto e sarà articolata come segue:

Ore 14.00 nell’aula 1.1 del Polo Zanotto dell’ateneo veronese: Proiezione di Nigurì di Antonio Martino ed incontro con il regista per discutere sul ruolo educativo e sociale del genere documentario. Il giovane regista calabrese, da sempre impegnato in tematiche sociali ed ambientali. pluripremiato in Italia all’estero per i suoi film; illustrerà come con pochi mezzi si possano realizzare documentari e quali sono le fasi da seguire per realizzarli.

Ore 16.30 nell’aula 1.1 del Polo Zanotto dell’ateneo veronese: Proiezione di Merica di Federico Ferrone, Michele Manzolini e Francesco Ragazzi ed incontro con Ernesto, protagonista del film girato tra Veneto e Brasile. Il documentario realizzato nel 2007 con un contributo della Regione Veneto, non si limita a mostrare solo storie di immigrazione/emigrazione, ma cerca di raccontarle nel contesto politico del Brasile, dell’Italia e in particolare del Veneto. In particolare si cercherà di affrontare il fenomeno dell’immigrazione di ritorno, mettendo a confronto la grande emigrazione italiana del secolo scorso e quella che oggi conosce l’Europa. Ernesto, protagonista del film, condurrà la presentazione del documentario ed introdurrà la sua storia di italo-brasiliano a Verona.

Ore 18.30 nel giardino del Polo Zanotto, Il gruppo Ensemble do Sul, si esibirà con un mix musicale di culture e linguaggi che spazia dalla tradizione mediterranea alla musica latinoamericana, dalle suggestioni sonore dell’Oriente alla poliritmia africana. Il gruppo multietnico è formato da musicisti da musicisti originari di diversi paesi del mondo come Marocco, Turchia, Cina, Congo, Venezuela, Perù, Cile e Colombia.

-Ore 21.00 nel giardino del Polo Zanotto, con l’intento di valorizzare e promuovere la diffusione dei cortometraggi prodotti dai giovani artisti veronesi e non, avrà luogo la proiezione dei cortometraggi partecipanti alla prima edizione di “Mai a corto di idee”, festival del cortometraggio. Il progetto è nato con l’intento di valorizzare il cortometraggio cinematografico come forma di espressione artistica e comunicativa considerandolo oggi, un mezzo che sviluppa in pieno le potenzialità dei nuovi media. La guria popolare premierà i migliori contrometraggi di ogni categoria. Il concorso per partecipare al festival chiude il 18 giugno 2011.

MANDATECI I VOSTRI VIDEO!!!

FATEVI CONOSCERE!!!

 

Responsabile comunicazione: Sara Creta 333-1445097

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MAI A CORTO DI IDEE

Il Progetto Come Treni Paralleli, al fine di promuovere la cultura cinematografica, incentivare la creatività dei tanti giovani che si avvicinano all’arte del cinema, dare a spazio a tutti quei lavori di ‘varia misura’ che vengono realizzati da giovani autori e che rimangono per lo più invisibili: cortometraggi, documentari, film sperimentali, esordi più o meno originali; bandisce il giorno 21 giugno 2011 all’Università degli studi di Verona, la prima edizione di “Mai a corto di idee” concorso per cortometraggi a tema libero, realizzati da giovani film maker con età compresa tra i 14 e i 35 anni.

Il “Mai a corto di idee”, Film Festival del cortometraggio prevede le seguenti  sezioni competitive:

1. “Storie italiane”

2. “World Stories”

3.  “Bizzarri”

4. “CortoGrafia” (Animazione)

6. “Musica” (Film attinenti alla musica )

7. “Concortissimo” (Film di non oltre 3 minuti)

I cortometraggi, della durata massima di 10 minuti, dovranno essere caricati su www.vimeo.com e il relativo link, inviato a cometreniparalleli@yahoo.it entro il 18 giugno 2011. Una giuria popolare deciderà nella serata della rassegna i vincitori di ogni categoria. Sono previsti riconoscimenti e premi per valorizzare ogni artista emergente che parteciperà al concorso.

Il gruppo studentesco sta raccogliendo e vagliando il materiale prodotto da studenti di giornalismo e non, e vuole poter inserire all’interno della giornata di studi sul documentario che si terrà il 21 giugno 2011 all’Università di Verona una rassegna di cortometraggi prodotti da artisti locali, coinvolgendo i giovani studenti veronesi e non a presentare il proprio materiale autoprodotto ed incentivarli ad avvicinarsi alle tecniche filmiche.  Il nostro intento è quello di valorizzare, promuovere e divulgare il Cortometraggio cinematografico come forma di comunicazione, soprattutto oggi, particolarmente valida ed attuale sia a livello sociale che culturale; intendiamo pubblicizzare un mezzo che sviluppa le potenzialità dei linguaggi artistici all’interno nuovi media.

Il gruppo studentesco “Come Treni Paralleli”, nato con l’idea di creare un legame tra l’Università e il  quartiere di Veronetta dove essa è situata, ha lavorato negli ultimi anni ad attività culturali volte a stimolare l’interesse verso le associazioni che operano nel territorio e coinvolgere l’Università in questo incontro. Il gruppo, composto da studenti di origine italiana e non, è riuscito a creare e mantenere in questi anni, un dialogo tra gli abitanti del quartiere, migranti e non, e  far nascere relazioni e rapporti fra l’Università ed il quartiere. In particolare, il gruppo ha lavorato cercando sempre di proporre iniziative concrete di dialogo e partecipazione. Il progetto interculturale è riuscito a realizzare le iniziative in programma fino ad oggi grazie al contributo dell’Università che negli ultimi due anni ha sempre finanziato e patrocinato le attività del gruppo.

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Comunicato stampa evento “Asta a vista”

Il gruppo studentesco “Come Treni Paralleli”, all’interno della manifestazione Verona Risuona promossa dal Conservatorio dall’Abaco di Verona, in collaborazione con l’Accademia Cignaroli di Verona, l’Accademia di Musica e Teatro di Göteborg, e patrocinata dal Comune di Verona, presenta l’evento “Asta a vista”.

L’attività culturale si terrà in Piazza Santa Toscana (davanti a Porta Vescovo) durante il mercato settimanale, alle ore 10.00 del giorno 3 giugno 2011, nel quale si inscenerà un’asta interculturale.

Nella mattinata verrà allestita una bancarella contenente oggetti donati dagli stessi negozi di Veronetta e scelti per simboleggiare ciascuna delle comunità presenti nel quartiere, p.e. una matrioska, un gatto della fortuna etc. Ad ogni oggetto sarà abbinato un biglietto contenente sia la storia di migrazione di chi lo ha donato, che del viaggio compiuto per arrivare in Italia. Si cercherà di coinvolgere le persone presenti al mercato a offrire in cambio banconote create appositamente per l’asta interculturale, le quali verranno distribuite sia prima che durante la mattinata. Lo scopo è portarsi a casa un pezzo di quartiere.

Il progetto, portato avanti dal gruppo “Come Treni Paralleli”, vuole riuscire a stimolare l’incontro tra culture e cittadini che vivono nel quartiere storico di Veronetta L’obiettivo della giornata è riflettere sullo stato dell’integrazione tra le comunità migranti e i cittadini residenti. Il processo che giungerà al termine con l’asta interculturale, è il risultato di un’approfondita ricerca eseguita nel quartiere, durante la quale sono stati raccolti un considerevole numero di oggetti e alimenti.

Il significato che il gruppo vuole far affiorare è che integrarsi significa prendere qualcosa e lasciare qualcosa e che questo scambio può essere fonte di reciproca soddisfazione.

Come Treni Paralleli   

Sara Creta: 333 1445097

www.treniparalleli.wordpress.com

cometreniparalleli@yahoo.it

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Veronetta Cortometraggio 2010

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Giornata culturale africana. La polemica come molla per il confronto e il dialogo

Al di la di ogni dietrologia e banalità giornalistico-sociale stiamo vivendo un periodo di grandi cambiamenti, a cui diamo poco peso e che in un modo o nell’altro ci coinvolgono, da molto più vicino di quanto si pensi. Quanto sta accadendo in tutto il Nord-Africa è sintomo di un termometro mondiale che va sempre più in alto, di una febbre che sale e porterà grandi cambiamenti, per un continente tanto bello, ma ancora tanto in difficoltà. La crisi Libica è forse il tassello più grande di questo variegato mosaico, e la giornata organizzata il 4 Maggio dall’Associazione Africana di Verona è nata e si è sviluppata con lo scopo di far luce su quanto sta accadendo, di innescare il dibattito, il confronto tra l’Ateneo, gli studenti, italiani e africani, e tutto il mondo universitario veronese. L’invito di un personaggio di rottura come il Prof. Jean Paul Pougala, docente di Geopolitica e sociologia all’Universitè de la Diplomatie di Ginevra, è di quelli che ha fatto discutere. In un aula piccola ma affollata della facoltà di Economia di Verona il Professore si è intrattenuto coi presenti in uno scambio di opinioni in cui sono venuti alla luce punti di vista e considerazioni parecchio interessanti.


Cosa sappiamo in fondo della crisi libica? E in che modo la situazione africana ha contribuito ad accelerare l’intervento europeo contro Gheddafi? Pougala ci ha parlato di un aiuto concreto che il leader libico stava fornendo all’Africa, un aiuto che l’avrebbe definitivamente liberata dal colonialismo che da secoli la attanaglia. Ci ha parlato del sogno utopico di uno stato africano unito, che si liberi dalle catene oppressive dell’occidente e porti avanti una politica di indipendenza e di sfruttamento delle risorse fino ad ora in mano al terribile monopolismo europeo. Una collaborazione futura con una Cina disinteressata e che fornirebbe aiuti e possibilità ai capi di stato africani per far nascere un’economia finalmente non più asservita ad interessi esterni. Poi la moneta unica africana, le tradizioni, gli usi e i costumi di stati interi costruiti a tavolino, la lingua unica, la fine di qualsiasi dipendenza, l’AIDS come balla storica di proporzioni bibliche e quell’angolatura lievemente diversa quando si parla di dittature e democrazie nel mondo, perché, senza nessun dubbio, noi europei siamo meno democratici di quanto vorremo far credere.

Che le cose in parte stiano così è assolutamente vero e credibile. Che la Francia sia interessata a ben altro che al bene del popolo libico è risaputo, così come sono risaputi gli interessi terzi degli stati quando si muovono in aiuto di qualcuno o qualcosa, nonché lo sfruttamento becero ed ignobile che da secoli impoverisce e depreda un popolo intero. É anche vero però che le parole di Pougala abbiano portato con se delle critiche fin troppo feroci, mosse da un risentimento non tanto velato verso l’Europa. Un risentimento da un lato giustificato, ma dall’altro causa di una visione per nulla imparziale e corretta delle cose. Vedere in Gheddafi, dittatore capace di uccidere civili senza remore ne risentimenti, e nella Cina, quella che compra in titoli azionari il debito pubblico degli stati in difficoltà per poi ricattarli, i salvatori di tutta l’Africa mi è sembrato eccessivo ed esagerato. Credo che l’Europa nel corso degli anni non abbia fatto altro che danni, nella sua opera moderna di colonialismo mascherato, ma credo anche che le vie di sviluppo, libertà e crescita per l’Africa e la sua gente passino per altre strade e non dalla difesa di un despota sanguinario o dal risentimento più profondo verso l’occidente. Pougala ha ragione quando parla di Africa unita e di un continente che deve essere lasciato libero, aiutato e non sfruttato, e non utilizzato per far crescere l’economia ormai in crollo verticale di tutto l’occidente. Ma Pougala parte anche da punti di vista troppo estremi e di chiusura, che non fanno bene ad un’Africa che oggi più che mai dovrebbe essere lasciata libera di vivere i suoi cambiamenti e la sua voglia di democrazia e libertà. Anche io sono convinto che l’Unione Africana sia la strada giusta da battere, ma non con l’aiuto di chi reprime nel sangue la libertà. Forse è vero, il sistema mediatico del nostro paese oltre ad influenzarci negativamente ci porta a non vedere le cose sotto tutti i punti di vista, ma anche la rabbia, giusta per altro, verso l’occidente schiavista e sfruttatore, non è certo il miglior modo per vedere le cose in maniera imparziale e corretta.


Tanta, troppa carne al fuoco, per un dibattito che poteva sicuramente essere sviluppato meglio, ma che, al di là di tutte le polemiche e i punti di vista, ha secondo me raggiunto il suo scopo più importante: dibattere su temi importanti. Una scelta voluta e precisa, invitare un personaggio capace di piantare un seme di dubbio su quello tutti i giorni ci viene fatto credere. Molto spesso spostare il punto di vista su qualcosa di diverso è utile per capire la verità dei fatti o per lo meno per farsi un idea a 360° su quanto sta accadendo. Per questo va fatto un grande applauso a tutta l’ASAV e a chi ha avuto il coraggio di portare un punto di vista così estremo, così diverso. Scatenare la polemica e la discussione, anche accesa, molte volte è l’unico modo per favorire il confronto, il dialogo, quello che un po’ manca nel nostro ateneo, soprattutto tra studenti italiani e africani. Ma sono sicuro che giornate come questa aiutino ad unirci tutti in un’unica bandiera, a collaborare perché il nostro ateneo sia simbolo di multiculturalità ed integrazione. La strada è ancora lunga, ma un altro paletto è stato piantato.

Manuel Lai

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21 marzo 2011 – Fandema: dove il palco non esiste più

Dove inizia Fandema e dove finisce il teatro? Dove il pubblico e dove lo spettacolo? Nella giornata del 21 Marzo, per Aule senza Frontiere questi ragazzi milanesi hanno proposto un qualcosa di unico e fuori dagli schemi. Non un semplice spettacolo teatrale, ma molto di più. Chi ha assistito allo spettacolo del Teatro dell’oppresso è stato coinvolto a 360° in un gioco prima di tutto divertente, ma capace anche di far riflettere.

Ad essere messa in scena è la condizione dell’oppresso, vista sotto la forma dello straniero: straniero che lotta contro la disonestà del suo datore di lavoro, contro l’ottusità dell’italiano e l’ingioustizia della sua legge. Le scene messe in piedi sono state tre, tutte abbastanza brevi e significative. Ma è stato il dopo a lasciare a bocca aperta. Quello dell’oppresso è un teatro in evoluzione e in costruzione, dove non vi è alcuna barriera tra palco e platea, tra pubblico e spettacolo. Si costruisce un dialogo con l’attore, si decostruisce la scena e la si rimette in piedi mille e più volte, grazie ai consigli e gli interventi di tutti. Lo spettatore può intervenire, alzarsi dalla sua poltrona e salire sul palco, modificare la scena come meglio crede e portarla sui binari che preferisce.

Un palco che per i Fandema non ha più ragione d’esistere, e che diventa quasi un limite, un inutile barriera. Il palco crea distacco, un distacco che non dovrebbe esistere quando si diventa un tutt’uno. Un teatro nel teatro, dove non si ha più percezione di chi sia veramente l’attore, dove tutti diventano marionette di un gioco importante e significativo. Il dibattito è solo la molla che con la pazienza e le opinioni di tutti plasma lo spettacolo, immedesima la persona in una situazione nel quale non si vorrebbe mai trovare. Per una volta si ha il coraggio di guardare dal punto di vista dello straniero, continuamente vessato da quell’italianità marcia e scadente, che vediamo sempre più spesso e che potremmo vivere anche noi sulla nostra pelle, un giorno.

Il 21 marzo abbiamo giocato e ci siamo divertiti, ma siamo anche stati messi in guardia su una situazione che diventerà sempre più grave e critica, se non saremo noi stessi a cambiare le cose. Sentirti oppressi, anche se per finzione, anche solo per un attimo, è stato forse il miglior stimolante per svegliare coscienze magari sin troppo sopite. Bisogna ringraziare i Fandema, ragazzi giovani, ma con tanta voglia di fare e di dare, che hanno unito la loro passione per il teatro con qualcosa di più: un teatro sociale, che unisce elementi tipicamente da talk show e dibattito e li ingloba nelle storie che vuole raccontare, che diventano mille diverse, a seconda di quanta voglia abbia il pubblico di dire la sua e farsi sentire. Ed è solo così che può nascere la partecipazione, solo così che ci si può veramente sentir parte di qualcosa, anche solo per una sera, anche solo su un palco, che non solo sembra molto più basso, ma scompare, davanti alla bravura e all’umiltà di una 10ina di ragazzi, che hanno capito cosa sia il teatro e cosa sia lo straniero nell’Italia di oggi. Complimenti a Fandema, che ha regalato a Treni Paralleli e a tutti i presenti qualcosa di bello e nuovo, qualcosa di unico e irripetibile, qualcosa che speriamo vada in giro ad abbattere muri come ieri sera al Teatro delle Suore Orsoline.

Manuel Lai

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Incontrare Franck

Cari amici

Durante l’evento “Aule senza frontiere” di lunedì, 21 marzo, nell’aula magna T3 dell’Università di Verona, alle ore 17:20 è prevista una tavola rotonda incentrata sulla questione dei diritti del rifugiato politico, alla quale parteciperanno Lorenzo Bernini, docente di filosofia politica presso l’Università di Verona, Emiliano Bos, giornalista e scrittore e Franck Gouma Pakidame, che ci testimonierà la sua esperienza di rifugiato politico.

Ma cosa si sa veramente di questo argomento? Poco. Siamo più concentrati sul fatto che loro stanno arrivando. Dalla Libia, in questi giorni. O da qualsiasi altro disagiato posto nel mondo siamo. Wikipedia ci dice:

“rifugiato (o, più diffusamente, rifugiato politico) è un termine giuridico che indica chi è fuggito o è stato espulso a causa di discriminazioni politiche, religiose o razziali dal proprio paese e trova ospitalità in un paese straniero”.

Per conoscere davvero, bisogna avvicinarsi, fare esperienza, chiedere, ascoltare. Ed è quello che ci siamo proposti di fare: abbiamo contattato Franck e abbiamo organizzato un incontro preparatorio, prima di parlare assieme di fronte agli studenti.

Pomeriggio nuvoloso, grigio. L’incontro con Franck è fissato alle 15:30, davanti all’Università. Arrivo qualche minuto in anticipo, lui arriva puntualissimo. I nostri sguardi si incrociano e si riconoscono. Lui attraversa la strada e mi raggiunge. Ci presentiamo e poi, il silenzio: secondi imbarazzanti nei quali nessuno dei due sa cosa dire. Mi aiuta ad appendere un manifesto dell’evento sulle mura della biblioteca, poi andiamo a prendere un caffè, aspettando l’arrivo degli altri “trenini”. Voglio conoscerlo, voglio che mi racconti tutto di lui, ma non so come cominciare, non voglio sembrare maleducata. Gli chiedo quanti anni ha, da dove viene, da quanto tempo è in Italia. Un interrogatorio.

Lui mi risponde con molta calma: ha 39 anni, viene dal Togo, è in Italia dal 2001 ed è riconosciuto come rifugiato politico dal 2002. Mi dice che a Verona ci sono pochi togolesi, meno di 300 persone, e che non si conoscono tanto tra di loro; che ce ne sono di più a Padova, Bologna, Roma. Nel frattempo arrivano i caffè e anche Marianna e Manuel, così siamo pronti a scoprire cosa c’è dietro agli occhi scuri e caldi.

Il racconto di Franck è molto contorto, passiamo da un argomento all’altro molto velocemente. Arriva in Italia in nave, non sa la lingua, non conosce nessuno. Qualcuno gli dice che a Verona c’è un prete togolese che lo può aiutare, così prende il treno (e prende anche dei soldi in prestito) e si dirige verso la città dell’amore. Arriva troppo tardi, il prete è andato via. Trova alloggio a casa di un amico, ma non trova lavoro. Torna a Napoli, poi a Foggia per 10 giorni, sempre in cerca di lavoro, ma niente. Ritornaa Verona e riesce in qualche modo a trovare sistemazione a casa di un altro conoscente, il quale lo aiuta anche a contattare le persone giuste per poter fare la richiesta di asilo politico.

Gli chiedo dettagli sulla sua storia di rifugiato. Mi racconta che a scuola gli è stato chiesto di fare propaganda politica per la maggioranza, prima delle elezioni e lui invece ha fatto il contrario. Non era d’accordo con la dittatura e non aveva paura di dirlo. “Non ho mai voluto guadagnare i soldi facilmente”, mi dice Franck, con un tono molto deciso. Dopo qualche giorno il rettore gli dice: ti consiglio di andare via! E dopo un po’ di tempo Franck decide di partire, lasciando la sua famiglia in Togo. Negli anni, sono morti tutti, per motivi di salute, e lui non è più riuscito ad abbracciarli. Di diritti in Italia ne ha avuti pochi. Ha vissuto in condizioni difficilmente immaginabili e ha dovuto aspettare un anno per essere riconosciuto come rifugiato politico. Alla fine di quest’anno gli hanno dato quasi 800€ di “aiuto”. Avrebbero dovuto dargli 45€ al giorno per 365 giorni.

Mi dice che il 90% delle persone che arrivano in Italia non vorrebbero restarci. L’Italia dovrebbe essere un paese di transizione per arrivare in Germania, Svizzera, Francia, dove la condizione dei rifugiati è ben diversa. Mi dice che in Italia sei costretto a diventare delinquente, perché non riesci a vivere, a mangiare, a lavorare. Arrivi come rifugiato e diventi delinquente. Per anni non è riuscito a trovare lavoro; nessuno lo voleva assumere perché rifugiato, come se questo statuto implicasse qualche impotenza. Quindi ha lavorato in nero, come tanti altri, senza nessuna sicurezza per il futuro.

Mi racconta di quando è andato in Francia, a trovare un suo amico. Arrivato a casa sua, i vicini di casa lo hanno visto e dopo qualche minuto sono venuti a bussare alla porta. Per lamentarsi, penserete? Invece no: il figlio tredicenne del vicino voleva andare a fare un giro e a parlare con il nuovo arrivato. Franck mi dice: “Qui non succederà mai! Figurati se uno lascia il suo figlio ad andare a fare un giro con uno straniero. Gli italiani hanno perso la fiducia, l’armonia dello stare insieme. Hanno tutti paura, sono tutti stressati e si chiudono in casa. Non parlano tra di loro, i vicini di casa non si conoscono e tanto meno saluteranno un vicino straniero.”

La condizione in cui vive adesso è amara. Ogni volta che torna in Africa deve fare il visto. “Ormai”, dice Franck, “Sono straniero anche in Africa.”

Spero che questo breve racconto abbia incuriosito voi, quando ha incuriosito noi.

Vi aspettiamo lunedì!

Ada

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…a proposito della compagnia teatrale Fandema

Ricevo e volentieri pubblico

I am not truly free if I am taking away
someone else’s freedom.
Just as surely as I am not free when
my freedom is taken from me.
The oppressed and the oppressor alike
are robbed of their humanity.
Nelson Mandela

Fandema è una compagnia di teatro sociale multiculturale che si è formata nel 2006 in occasione della Giornata Internazionale a sostegno delle vittime di tortura. Riunisce giovani di diverse provenienze culturali, residenti in Italia, con lo scopo di creare contesti e situazioni d’incontro e di scambio attraverso il linguaggio artistico.

Fandema riflette una pluralità di interessi ed esperienze personali di fenomeni migratori promuovendo il dialogo e l’incontro fra chi fugge dal proprio luogo d’origine e coloro che popolano il nuovo paese d’accoglienza. La compagnia si propone di contaminare il sistema di comunicazione con la ricchezza dei linguaggi che chi migra porta con sé, e di amplificare le opportunità di scambio, restituendo la centralità alla persona e alla sua storia.

I membri attuali di Fandema sono rifugiati politici e migranti provenienti dalla Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Gambia, Guinea, Iran, Marocco, Niger, Senegal, Sierra Leone, Togo, Tunisia e cittadini italiani che insieme operano nel sociale, nel teatro e nelle arti audio-visive per la tutela dei diritti dei rifugiati in Italia.

Fandema trae arricchimento dalle specificità di ciascuno permettendo pertanto di essere presenti a sé stessi in una società che invece nega l’umanità, dove spesso non è possibile esprimersi per difficoltà linguistiche, paura e pregiudizi.

Fandema sviluppa progetti di partecipazione civile avendo come traguardo la  creazione di spazi e di occasioni in cui tutti possano sentirsi partecipanti e protagonisti attivi della realtà sociale, culturale e politica che definisce i nostri tempi.

Gli spettacoli attingono dalle esperienze personali di oppressione quotidiana e di conflitti interculturali che nascono dalle incomprensioni, dall’ignoranza e dal non-ascolto. Le nostre scene sono ambientate in contesti sociali che variano dal caffè pomeridiano al bar, all’attesa dell’agognato permesso di soggiorno in questura, allo sfruttamento della manodopera straniera.

La metodologia applicata durante i laboratori e gli spettacoli si rifà alla tradizione del Teatro dell’Oppresso, attingendo dal sistema di giochi/esercizi teorizzati e attuati da Augusto Boal, ma lasciandosi permeare dalle specificità culturali e dai diversi linguaggi espressivi, quali la musica e la danza, che diventano occasione di racconto, e di arricchimento personale e collettivo.

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